Società immobiliari: quando si (dis)applica la disciplina delle società di comodo

L’Agenzia delle entrate è tornata ad occuparsi, nella risposta ad interpello n. 68/2019, dell’applicazione della disciplina delle società “di comodo” a quelle che effettuano la gestione di immobili. È stato confermato che, in caso di mancato superamento del test di operatività, tale disciplina è disapplicabile dimostrando che i canoni relativi agli immobili concessi in locazione sono almeno pari a quelli di mercato, desumibili dalle quotazioni dell’OMI. Tale oggettiva situazione può essere fatta valere anche da società o enti che non hanno ad oggetto esclusivo o principale l’attività di gestione immobiliare.

1. Premessa

Nel nostro ordinamento tributario sono contenute alcune disposizioni volte a contrastare fenomeni societari finalizzati a consentire un mero godimento diretto o indiretto di beni e servizi da parte della compagine sociale. Tali situazioni societarie sono comunemente qualificate come “società di comodo”.

L’ambito soggettivo di applicazione della disciplina relativa a questi ultimi soggetti è quello delle società commerciali, siano esse di capitali o di persone, a prescindere dalla modalità di determinazione del reddito e dalla tenuta della contabilità, nonché dall’applicazione o meno dei principi contabili nazionali o internazionali IAS/IFRS.
La detta disciplina è contenuta nell’art. 30 della Legge 23 dicembre 1994, n. 724, che ha introdotto l’obbligo di dichiarare un reddito presunto ai fini delle imposte sui redditi e un valore della produzione presunto ai fini dell’IRAP qualora, sostanzialmente, i ricavi e altri proventi effettivamente conseguiti, su base triennale, dalla società non superino quelli presuntivamente determinati in funzione dell’applicazione di determinate percentuali alle immobilizzazioni detenute dalla società, sempre su base triennale (c.d. test di operatività). La “non operatività” comporta conseguenze anche in termini di limitazioni all’utilizzo in compensazione e alla possibilità di rimborso del credito IVA della società, il quale, in conseguenza del protrarsi per un triennio della condizione di non operatività, risulterà perduto. Gli effetti di tale normativa sono stati estesi ai casi delle società in c.d. perdita sistematica.
Si ricorda che in presenza di “oggettive situazioni” che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito minimo – ovvero non hanno consentito di effettuare operazioni rilevanti ai fini dell’IVA in misura non inferiore a quella presunta in base all’applicazione degli appositi coefficienti – la disciplina delle società non operative può essere disapplicata. Si deve trattare di situazioni indipendenti dalla volontà dei soggetti interessati – e dimostrabili a prescindere dalle risultanze delle scritture contabili – in presenza delle quali le società possono presentare un’istanza di interpello preventiva.
L’Agenzia delle entrate ha fornito, nel corso del tempo, numerosi chiarimenti in merito alle ipotesi più ricorrenti in relazione alle quali può essere invocata la disapplicazione della disciplina in esame.
Di recente è intervenuta la risposta ad interpello del 20 febbraio 2019, n. 68, nella quale è stato, in particolare, esaminato il caso delle società che concedono in locazione immobili e non superano il test di operatività. In tale occasione è stato affermato che costituisce una valida causa di disapplicazione la circostanza che i canoni di locazione, anche se di importo inferiore ai proventi presunti, risultano in linea con quelli desumibili dall’Osservatorio del mercato immobiliare (OMI).

Tale conclusione risulta coerente con le istruzioni fornite in precedenza, anche con riguardo ad ulteriori e diverse casistiche che possono interessare l’attività di gestione immobiliare.

2. La disapplicazione delle “penalizzazioni”

Se la società risulta non operativa la stessa può interpellare, ai sensi del comma 4-bis dell’art. 30 della Legge n. 724/1984, l’Agenzia delle entrate ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. b), della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente), al fine di ottenere dalla stessa una pronuncia sulla disapplicazione della normativa in esame. L’interpello è finalizzato a rappresentare le oggettive situazioni che hanno comportato l’insorgere della condizione di non operatività.

La presentazione del detto interpello è facoltativa, come chiarito nella circolare n. 9/E/2016. È, quindi, possibile non applicare la disciplina delle società di comodo sulla base di un’autovalutazione della sussistenza delle relative condizioni e compilare la dichiarazione dei redditi come se la società fosse operativa, seppur la stessa non abbia superato il “test di operatività” né abbia presentato interpello disapplicativo.
Se il contribuente decide di “autodichiararsi” operativo o non si adegua al reddito minimo, senza aver presentato l’istanza di interpello ovvero dopo aver ricevuto una risposta negativa alla stessa, l’Ufficio delle Entrate può rettificare il reddito dichiarato notificando un avviso di accertamento.
L’istanza di disapplicazione può essere presentata in presenza di “oggettive situazioni” che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito minimo ovvero non hanno consentito di effettuare operazioni rilevanti ai fini dell’IVA in misura non inferiore a quella presunta in base all’applicazione degli appositi coefficienti. Si deve trattare, come detto, di situazioni indipendenti dalla volontà dei soggetti interessati e dimostrabili a prescindere dalle risultanze delle scritture contabili.
Nella circolare n. 5/E/2007 è stato specificato che, nell’ipotesi in cui il contribuente, pur non avendo superato il test di operatività, abbia conseguito un reddito effettivo superiore a quello minimo presunto, lo stesso continua ad essere non operativo (il test di operatività, infatti, non può considerarsi superato). Ne consegue che la società, anche qualora non abbia perdite fiscali pregresse riportabili (per la cui utilizzazione in diminuzione del reddito dichiarato dovrebbe chiedersi la disapplicazione della disciplina in esame), avrà interesse a presentare l’istanza in commento per ottenere la detta disapplicazione solo ai fini dell’IRAP e dell’IVA.

La società interessata ha, altresì, interesse a presentare l’istanza di disapplicazione nell’ipotesi in cui, a fronte di un ammontare complessivo di ricavi, incrementi di rimanenze e proventi, di per sé insufficiente per superare il test di operatività, intenda evidenziare le situazioni che hanno direttamente impedito il conseguimento (non di maggiori ricavi ma) del reddito minimo presunto in applicazione della disciplina sulle società non operative. Tale circostanza ricorre, ad esempio, quando la società, pur non essendo in condizione di dimostrare la congruità dei ricavi dichiarati, abbia sostenuto costi straordinari che le hanno impedito di conseguire un reddito almeno pari a quello minimo presunto. Secondo l’Agenzia delle entrate nella situazione appena evidenziata ci sarà un accoglimento parzialedell’istanza, volta a disapplicare la normativa sulle società non operative unicamente ai fini delle imposte sul reddito e non anche dell’IRAP e dell’IVA; ciò in quanto, non avendo addotto valide ragioni per giustificarne l’inadeguatezza dei ricavi dichiarati, la società è da considerarsi comunque non operativa ai fini della disciplina in commento.

3. Le situazioni “oggettive”

Rientrano tra le “oggettive situazioni” che consentono di disapplicare la normativa sulle società non operative i casi dei soggetti che non si trovano in un periodo di normale svolgimento dell’attività produttiva prevista dall’oggetto sociale, in quanto si è interrotta l’ordinaria gestione ovvero l’impresa è impossibilitata, per impedimenti di carattere oggettivo, a svolgere l’attività economica prevista nell’oggetto sociale.

L’Agenzia delle entrate ha affermato, nelle circolari n. 5/E del 2 febbraio 2007 e n. 44/E del 9 luglio 2007, che si possono considerare, a titolo esemplificativo, periodi di non normale svolgimento dell’attività:
– il periodo d’imposta da cui decorre la messa in liquidazione volontaria. Invece il periodo che precede quello in cui ha avuto inizio la liquidazione è considerato normale, anche se di durata inferiore a quella ordinariamente prevista dall’atto costitutivo;
– i periodi d’imposta successivi al primo in cui il soggetto non abbia ancora avviato l’attività prevista dall’oggetto sociale, perché, ad esempio: la costruzione dell’impianto da utilizzare per lo svolgimento dell’attività si è protratta, per cause non dipendenti dalla volontà dell’imprenditore, oltre il primo periodo d’imposta; non sono state concesse le necessarie autorizzazioni amministrative, pur essendo state tempestivamente richieste (come nel caso di una società che esercita l’attività di ristorazione su un battello navigante lungo un fiume, che, nonostante gli investimenti effettuati, non ha potuto iniziare l’attività perché il battello non ha ancora ottenuto la licenza di navigazione), a condizione che in mancanza delle dette autorizzazioni non sia possibile iniziare l’attività (l’Agenzia ha ritenuto che non possa essere accolta l’istanza di una società che opera nel settore delle analisi cliniche e diagnostiche la quale è in attesa di ottenere l’autorizzazione dal SSN per operare in regime convenzionato, in quanto la stessa società potrebbe anche svolgere attività non in regime di convenzione); viene svolta esclusivamente un’attività di ricerca propedeuticaall’esercizio di un’altra attività produttiva (sempre che la stessa attività di ricerca non consenta, di per sé, la produzione di beni e servizi e la conseguente realizzazione di proventi);
– i periodi di durata annuale (con i beni posseduti per tutto il periodo d’imposta) nei quali è svolta un’attività di natura stagionale.
Nella risoluzione del 4 luglio 1997, n. 154/E, è stato, poi, ribadito che si è in presenza di situazioni di carattere straordinario non imputabili a valutazioni soggettive e che giustificano il mancato superamento del test di operatività allorché sia svolta un’attività essenzialmente di ricerca, sperimentazione e formazione prodromica alla realizzazione del prodotto, l’ottenimento delle necessarie risorse finanziarie sia subordinato all’effettuazione di notevoli investimenti produttivi, sproporzionati rispetto alla fase iniziale dell’attività stessa, e le infrastrutture siano inagibili per il mancato collaudo di alcune opere da parte delle competenti attività.
Nella circolare n. 44/E/2007 è stato affermato che non può essere accolta l’istanza di disapplicazione in presenza di un terreno agricolo che non viene coltivato, in mancanza di una strategia imprenditoriale idonea a renderlo produttivo o di altre iniziative conformi all’oggetto sociale. Si ritiene che possa rientrare tra tali ultime ipotesi quella della mancata coltivazione a causa dell’esecuzione di attività preparatorie all’avvio della coltivazione del fondo ovvero del periodo di necessario “riposo” del terreno. I contribuenti potranno, altresì, far valere l’eventuale intervento di calamità atmosferiche.
In base a quanto chiarito nella stessa C.M. n. 48/E/1997, devono, invece, considerarsi periodi di normale svolgimento dell’attività quello relativo a un esercizio di durata inferiore a quella stabilita dall’atto costitutivo (per modifiche che non incidono sull’attività svolta, come in caso, ad esempio, di fusioni, scissioni o trasformazioni) e quello in cui la società ha affittato o concesso in usufrutto l’unica azienda posseduta (caso in cui, invece, in materia di studi di settore è stato affermato che si è in presenza di un periodo di non normale svolgimento dell’attività).
Quest’ultima conclusione è stata confermata dalla Corte di cassazione nelle pronunce 21 ottobre 2015, n. 21358, del 30 marzo 2017, n. 8218, del 13 novembre 2017, n. 26728, del 21 febbraio 2018, n. 4156.
La stessa Corte ha affermato, nella ordinanza del 30 marzo 2017, n. 8218, che è soggetta alla disciplina in esame la società che è “gestita in perdita senza obiettivi di profitto immediati e concreti perché l’unico bene di proprietà costituito da un albergo… è stato ceduto in locazione a terzi ad un canone che correttamente è stato ritenuto incongruo rispetto alle condizioni di mercato e non remunerativo rispetto alle rilevanti spese di risanamento e ristrutturazione sostenute… senza bisogno di indagare e rivelare l’esistenza di intenzioni fraudolente ed elusive”. È stato, inoltre, ritenuto che la società non avesse dato la prova contraria che le incombeva, a fronte “della plateale antieconomicità delle spese di ristrutturazione della struttura alberghiera”.
Nella sentenza del 28 febbraio 2017, n. 5080, la Cassazione ha, invece, affrontato il caso di una società avente come oggetto sociale l’acquisto, la vendita, la permuta ed il noleggio di macchinari ed attrezzature speciali per lavori edili nel settore pubblico mediante l’impiego dell’unico bene strumentale costituito da una fresa escavatrice da impiegare e noleggiare per la realizzazione della metropolitana, che in un periodo d’imposta non aveva prodotto ricavi, non essendo la società stessa riuscita a stipulare contratti di noleggio. La Commissione di merito aveva ritenuto che “le condizioni particolari di un mercato altamente specializzato in cui poter utilizzare la fresa e la mancata stipula di altri contratti di affitto della macchina, nel gioco economico della domanda e dell’offerta, avevano comportato una obiettiva e non contingente situazione di impedimento della società ad operare”, dipesa “non tanto dalla volontà della società ma dalla non convenienza delle offerte di noleggio della fresa, che si traduceva in una obiettiva situazione di impedimento al suo uso proficuo e redditizio”.
La Suprema Corte ha condiviso tali conclusioni, stabilendo che la nozione di “impossibilità” va intesa “non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato”. Tale condivisibile principio potrebbe trovare applicazione anche nel caso dell’affitto dell’unica azienda e, in generale, in tutti quelli in cui l’attività imprenditoriale ha ad oggetto beni aventi un mercato limitato.
La Cassazione ha affermato, nella sentenza n. 12777/2016, che le censure proposte dall’Agenzia delle entrate non risultavano fondate in quanto era rimasta “ad esse estranea l’affermazione – indipendente dalle altre e in sé sufficiente a sorreggere la statuizione di rigetto dell’appello proposto dall’ufficio – … secondo cui considerata la natura della società, che risulta essere un’impresa industriale in stato di crisi, si ritiene che, come osservato anche dai primi giudici, si possa escludere che la stessa rientri nella disciplina delle società di comodo, risultando piuttosto una società che non era temporaneamente in grado di svolgere la propria attività caratteristica. Affermazione questa che riguarda evidentemente il fondamento sostanziale della pretesa impositiva (ossia, l’applicabilità nel caso di specie della disciplina sulle società non operative, o ‘di comodo’, e della conseguente presunzione di reddito imponibile minimo) e che … non può considerarsi preclusa dall’essere la pretesa medesima fondata, ai sensi del d.P.R. 29.9.1973, n. 600, art. 36-bis sui dati dichiarati dalla stessa contribuente nella dichiarazione dei redditi da essa presentata”.
Nella ordinanza del 12 febbraio 2019, n. 4019, la stessa Corte ha ribadito che il riferimento alle “oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi” deve essere interpretato non in termini assoluti ma in termini puramente economici, avendo cioè riguardo alle effettive condizioni del mercato. Nel caso esaminato il ritardo nella realizzazione dell’investimento era stato causato dal mutamento dell’originario progetto industriale ed è stato affermato che la Commissione di merito avrebbe dovuto tener conto sia della crisi del mercato, che aveva obbligato la società a operare il detto mutamento dell’attività produttiva, sia della rimessione in termini concessa dal MISE, che aveva permesso alla contribuente di non perdere il beneficio economico originariamente accordato.
Si tratta di precisazioni importanti e condivisibili e che rivestono particolare importanza nella attuale situazione economica, caratterizzata da una perdurante e diffusa crisi che colpisce numerose imprese del nostro Paese.
Le società interessate possono, quindi, dimostrare – sia in sede di interpello che in caso di contestazione da parte dell’Ufficio successiva alla presentazione della dichiarazione – l’esistenza di una crisi del settore (avvalendosi eventualmente di rilevazioni o studi effettuati in merito da enti specializzati) ovvero della specifica impresa interessata.

La stessa Agenzia ha poi fornito degli importanti chiarimenti in merito alle ipotesi più ricorrenti in relazione alle quali può essere presentata la detta istanza da parte delle società in liquidazione volontaria, delle holding e delle società immobiliari.

4. Le società immobiliari

L’Agenzia delle entrate ha individuato, nel corso del tempo, numerose situazioni oggettive in presenza delle quali le società, anche diverse da quelle che hanno per oggetto la realizzazione e la successiva locazione di immobili, possono chiedere la disapplicazione della normativa in esame.

Un primo caso può essere, ad esempio, quello della società immobiliare che “ha iscritto in bilancio esclusivamente immobilizzazioni in corso di realizzazione, da destinare successivamente alla locazione ma, ovviamente, non suscettibili, al momento, di produrre un reddito, ancorché minimo”, come chiarito nella C.M. n. 48/E/1997.
In presenza di immobili già locati ed altri in corso di realizzo è consentita la parziale esclusione di questi ultimi, tramite una disapplicazione parziale. Peraltro, nella stessa C.M. n. 48/E/1997, richiamata dalla circolare n. 14/E/2007, era stato affermato che i fabbricati in corso di costruzione (iscritti come immobilizzazioni in corso) non assumevano comunque rilievo. Quindi sembrava che l’Agenzia avesse inteso rettificare la precedente presa di posizione ed era stato auspicato l’intervento di un ulteriore chiarimento inteso ad evitare la presentazione dell’istanza di interpello nei casi in esame, nei quali, come affermato anche nella circolare n. 14/E/2007, non è possibile presumere il conseguimento di alcun reddito. Tale intervento è avvenuto con la circolare n. 25/E/2007, nella quale è stato sancito che le società che hanno in patrimonio soltanto immobilizzazioni in corso sono esonerate dall’onere di presentare l’istanza di disapplicazione alla competente direzione regionale. Per quanto concerne le “aree edificabili”, si ritiene che possano essere comprese tra le immobilizzazioni in corso soltanto se sono effettivamente poste in essere le procedure finalizzate all’edificazione e non se si tratta di un mero investimento patrimoniale.
Una ulteriore ipotesi è quella concernente la “impossibilità di modificare i contratti di locazione in corso”.
Con riguardo ai fondi rustici era stato osservato che tale ipotesi può verificarsi in quanto la Legge n. 203/1982, che disciplina i patti agrari, dispone che il canone è stabilito in base a coefficienti di moltiplicazione del reddito dominicale fissati dalla commissione tecnica provinciale ovvero in base ad una convenzione “in deroga” stipulata tra il proprietario e l’affittuario con l’assistenza delle organizzazioni sindacali di categoria.
Nella circolare n. 25/E/2007 era stato affermato che il canone di locazione risultante dai detti accordi poteva assumere rilevanza ai fini della giustificazione del mancato superamento del test di operatività ovvero del mancato conseguimento del reddito minimo. Nella successiva circolare n. 44/E/2007 l’Agenzia aveva affrontato i casi:
a) dell’immobile strumentale concesso in locazione ad un soggetto pubblico, con parere di congruità del canone di locazione espresso dall’Agenzia del territorio, affermando che sussistono le condizioni per disapplicare la disciplina in esame, in quanto “la congruità del canone pattuito è desumibile dalla valutazione obbligatoria di un organo tecnico dell’Amministrazione finanziaria”;
b) di una società che svolge attività di locazione di alloggi a nuclei familiari svantaggiati e che, in base ad un’apposita Legge provinciale, applica dei canoni di locazione stabiliti nell’ambito di convenzioni con gli enti locali, affermando che può essere disapplicata la normativa in discorso, in quanto l’impossibilità di allineare i canoni di locazione a quelli normalmente praticati sul mercato deriva da un obbligo sancito espressamente dalla detta Legge provinciale.
Con la previsione, da parte del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 14 febbraio 2008, della causa di disapplicazione automatica concernente le “società che dispongono di immobilizzazioni costituite da immobili concessi in locazione ad enti pubblici ovvero locati a canone vincolato” (già illustrata in precedenza) sono stati recepiti i ricordati chiarimenti interpretativi ed è stato evitato che in tali casi debbano essere presentate le istanze da parte dei contribuenti interessati. In presenza delle situazioni in esame, alla società resta, in via di principio, applicabile la disciplina delle società di comodo, ma gli immobili in esame non devono essere considerati ai fini dell’effettuazione del test di operatività e della determinazione del reddito minimo presunto.
Si ritiene, comunque, che, più in generale, tale fattispecie possa ricorrere frequentemente, in presenza di contratti di affitto aventi validità pluriennale. A tale proposito l’Agenziaha affermato che, in caso di rinnovo del contratto di locazione, i canoni di locazione a suo tempo pattuiti “devono ritenersi congrui per l’intera durata del contratto ove risultino congrui rispetto ai canoni di mercato vigenti nel primo anno di locazione”: in tal caso se in sede di rinnovo il canone di locazione è stato portato in linea con quello di mercato ma la società non riesce a superare il test di operatività in quanto la media triennale è influenzata dai canoni di locazione del vecchio contratto, il contribuente è stato legittimato a rideterminare il detto test considerando, anziché i canoni effettivamente contabilizzati per i due anni precedenti, quelli risultanti dal nuovo contratto. Inoltre è stato precisato che, salvo eventuali profili elusivi, può essere accolta l’istanza di disapplicazione se il contribuente “è subentrato nel contratto di locazione in corso alla data di acquisto e non ha potuto influenzare il relativo contenuto, definito da soggetti terzi indipendenti”, poiché la determinazione del canone non è riconducibile alla volontà del contribuente.
L’Assonime ha sottolineato, da parte sua, che la normativa in tema di locazioni immobiliari, come interpretata dall’unanime giurisprudenza di legittimità, non consente alcuna modifica dell’entità del canone in corso di rapporto e che, di conseguenza, considerata la natura imperativa dei termini legali di durata minima delle locazioni di immobili urbani (adibiti o meno ad uso di abitazione), sarebbe consentita, in base all’interpretazione fornita dall’Agenzia delle entrate, la disapplicazione in esame “nei confronti delle società che dimostrino di aver pattuito, nel contesto di rapporti locativi già in corso, canoni la cui entità non sia sufficiente a raggiungere le soglie di proventi e reddito minimi individuate dall’art. 30 della Legge n. 724 del 1994, e ciò a prescindere dall’allineamento di tali canoni agli attuali valori di mercato. Date le stringenti limitazioni legislative al diniego di rinnovo dei contratti in questione alla prima scadenza, l’impossibilità di modificare i contratti di locazione in corso pare, peraltro, riferibile tanto al primo, quanto al secondo periodo di durata della locazione”. Non è, invece, ravvisabile una oggettiva impossibilità di modificare i contratti nel caso in cui sia la società proprietaria dell’immobile che quella locatrice presentano la medesima compagine societaria (in seguito ad un’operazione di scissione del ramo immobiliare della scissa).
Si era, infine, posta la questione se in tali ipotesi fosse necessario verificare se il canone fissato nel momento in cui è posto in essere il contratto di locazione fosse almeno pari a quello di mercato. L’Agenzia ha dato a tale questione risposta positiva, precisando che occorre dimostrare che il canone pattuito per l’anno in cui è stato stipulato il contratto risulti almeno pari al canone di mercato riferito al medesimo anno.
La Commissione tributaria provinciale di Torino ha, invece, sostenuto, nella sentenza del 15 giugno 2012, n. 92/1/12, che le società di gestione immobiliare possono evitare di provare la congruità dei canoni pattuiti all’inizio della locazione di immobili ad uso commerciale, in forza della considerazione che si tratterebbe di “un onere di impossibile assolvimento, tenuto conto dei tanti fattori che influivano sulla determinazione di un canone e del lungo lasso di tempo trascorso che non ne consente la ricostruzione a posteriori”. Tale interpretazione suscita perplessità, in quanto finirebbe per rendere di fatto inapplicabile alle società immobiliari la disciplina sulle società di comodo, almeno con riguardo agli immobili locati. Si ritiene che a tal fine la società debba, invece, fornire i motivi per i quali non è stato possibile superare il test di operatività ovvero conseguire un reddito effettivo superiore a quello minimo in presenza di una “temporanea inagibilità dell’immobile”.
Nella circolare n. 44/E/2007 dello stesso anno è stato precisato che può essere accolta l’istanza di disapplicazione se:
a) la società sia proprietaria di un complesso immobiliare caratterizzato dalla presenza di alcuni beni immobili non produttivi di reddito, in quanto inagibili e non ancora ristrutturati (in tal caso i valori dei relativi asset non debbono essere presi in considerazione per la determinazione dei ricavi presunti e il contribuente potrà “neutralizzare” l’effetto delle predette situazioni, non applicando i coefficienti di redditività sul valore degli asset interessati dalla disapplicazione, né considerando gli eventuali ricavi iscritti a conto economico e direttamente correlabili agli asset medesimi);
b) non è stata rilasciata la concessione edilizia da parte del Comune e ciò abbia di fatto reso impossibile l’inizio dei lavori per la realizzazione delle strutture recettive previste dal Piano attuativo. Condizione determinante ai fini della disapplicazione è, però, quella che nel momento in cui la società ha acquistato il terreno lo stesso sia edificabile: se, invece, all’atto dell’acquisto esisteva già un blocco edificatorio, il mancato conseguimento dei ricavi, incrementi di rimanenze e proventi nella misura prevista ai fini in esame “deriva inequivocabilmente da una consapevole scelta imprenditoriale (e quindi da una situazione ‘soggettiva’ e non ‘oggettiva’), tale, di per sé, da non giustificare l’accoglimento dell’istanza di disapplicazione”.
Non può, invece, essere accolta l’istanza di disapplicazione in presenza di un terreno agricolo che non viene coltivato, in mancanza di una strategia imprenditoriale idonea a renderlo produttivo o di altre iniziative conformi all’oggetto sociale. Anche la Commissione tributaria regionale del Veneto ha affermato, nella sentenza n. 45/05/2012, che è esclusa dal regime delle società di comodo la società immobiliare che non ha ancora ottenuto il rilascio delle autorizzazioni a edificare.
È stata, peraltro, segnalata la necessità di fare “presente all’Agenzia, con documentazione proveniente da agenzie immobiliari, riviste o studi specializzati, che i canoni incassati, pur se inferiori al livello presunto dalla Legge, sono quelli di mercato” e che il coefficiente va ad incidere sul costo storico e non sul valore di mercato, che è crollato negli ultimi anni.
È stato preso, altresì, in esame dalla prassi dell’Amministrazione finanziaria il caso in cui si verifichi la “dimostrata impossibilità per la società immobiliare di praticare canoni di locazione sufficienti per superare il test di operatività ovvero per conseguire un reddito effettivo superiore a quello minimo presunto. Ciò si verifica, ad esempio, nei casi in cui i canoni dichiarati siano almeno pari a quelli di mercato, determinati ai sensi dell’art. 9 del TUIR”.
Era stato, al riguardo, ritenuto che, ai fini della determinazione dei detti canoni di mercato, potesse farsi riferimento ai valori indicati nella banca dati delle quotazioni immobiliari dell’Osservatorio del mercato immobiliare, nella quale, oltre al valore degli immobili, risulta indicato anche il valore locativo espresso in euro al metro quadro per mese. Tale impostazione è stata confermata nella richiamata circolare n. 25/E/2007.
Si ricorda che ai valori in esame l’Agenzia delle entrate aveva già fatto riferimento, nella circolare n. 6/E/2007, nella quale è stato sottolineato che le dette quotazioni non devono essere assunte quale unico fondamento della rettifica del valore dichiarato in atto, ma possono essere utili per l’avvio di più approfondite analisi sulla base di altri elementi disponibili o acquisibili mediante un corretto utilizzo dei poteri di controllo. Soprattutto tale ipotesi può assumere rilievo con riferimento ai costi per migliorie e spese incrementative relative a beni di terzi sostenute dall’impresa locataria.
Al riguardo si ritiene che possano assumere rilevanza, ai fini della disapplicazione della disciplina in discorso, le ipotesi, non infrequenti, in cui il valore locativo risulti influenzato, ad esempio, dallo stato di manutenzione dell’immobile e dalle pattuizioni tra le parti in base alle quali il locatario si deve fare carico delle spese di ristrutturazione che si rendano eventualmente necessarie: in tali casi è normalmente stabilito un canone di locazione di importo inferiore a quello di mercato, al fine di “ristorare” il detto locatario dell’esborso finanziario effettuato.
L’Agenzia delle entrate ha preso in esame queste ultime ipotesi nella risoluzione del 24 luglio 2007, n. 180/E, riguardante, però, il caso degli oneri di ristrutturazione capitalizzaticome migliorie su beni di terzi ed inseriti in bilancio tra le “altre immobilizzazioni immateriali” dell’attivo dello stato patrimoniale.
In tale occasione l’Agenzia ha rilevato che, da un lato il tenore letterale della norma, che fa riferimento in generale alle “altre immobilizzazioni”, dall’altro le precisazioni fornite nei documenti di prassi che indicano tra le immobilizzazioni immateriali anche i costi ad utilità pluriennale, indicandone alcuni a mero titolo esemplificativo, inducono a ritenere che tra le altre immobilizzazioni rientrino anche i costi pluriennali rappresentati dalle spese di ristrutturazioni su beni di terzi, che pertanto devono essere presi in considerazione nell’applicazione della percentuale del 15% ai fini della verifica del test di operatività. È stato, poi, precisato che “non appare conferente, nel quadro delle considerazioni svolte, la circostanza – rilevante sul piano dei rapporti tra le parti – secondo cui il canone sarebbe stato di importo superiore se sull’immobile non fosse stato convenuto di effettuare i lavori di ristrutturazione sostenuti dal locatario”. Tale precisazione appare, però, circoscritta al caso in esame, avente ad oggetto gli importi risultanti dal bilancio e non la determinazione del valore locativo di mercato degli immobili.
La Commissione tributaria provinciale di Vercelli ha affermato, nella sentenza del 3 aprile 2013, n. 13/01/13, che anche in caso di locazione infragruppo di immobili la società locatrice va considerata esclusa dalla disciplina delle società non operative se i canoni praticati sono in linea con le quotazioni OMI e non sussiste la possibilità di modificarli.

5. La risposta ad interpello n. 68/2019

I chiarimenti sopra illustrati hanno trovato sostanziale conferma nella risposta ad interpello n. 68/2019, nella quale è stato affrontato il caso di una società avente quale oggetto sociale “l’acquisto, la costruzione ed il risanamento – mediante stipulazione di contratti di appalto – la conduzione, l’amministrazione, la vendita, la cessione in locazione e la cessione in affitto di immobili in generale, in particolare di fabbricati ad uso industriale e di terreni ad uso produttivo, sia in Italia che all’estero, nonché l’esercizio di tutte le attività correlate a quelle anzidette”. Tale società era stata beneficiaria di un’operazione di  doppia scissione parziale proporzionale, al fine di attribuire alla stessa “i patrimoni immobiliari strumentali delle società “sorelle” per motivi di riorganizzazione aziendale”.
La stessa società concede in “(retro)locazione commerciale gli immobili a lei assegnati … a valori di mercato, alle società scisse”.
Nell’istanza è stato precisato che “gli importi delle locazioni di entrambi i rami immobiliari sono stati individuati all’interno del range dei valori OMI (secondo semestre 2017) e parametrati ai metri quadrati degli immobili in questione. La società evidenzia, inoltre, che, in base agli accordi infragruppo, la bozza di entrambi i suddetti contratti di locazione prevede che il conduttore si dovrà assumere l’onere di sostenere tutte le spese di ordinaria e straordinaria manutenzione inerenti i fabbricati oggetto di locazione (c.d. formula tripple net lease), nonché l’imposta municipale immobiliare e i premi di assicurazione, avendosene tenuto conto nel canone di locazione”.
Tuttavia, i canoni di locazione, pur essendo in linea con i valori risultanti dalla banca dati delle quotazioni immobiliari, non risulterebbero sufficienti al superamento del c.d. test di operatività di cui all’art. 30 della Legge n. 724/1994.
L’Agenzia delle entrate ha innanzitutto richiamato i già illustrati chiarimenti resi nella circolare n. 5/E/2007 con riguardo alla “dimostrata impossibilità, per la società immobiliare, di praticare canoni di locazione sufficienti per superare il ‘test di operatività’ ovvero per conseguire un reddito effettivo superiore a quello minimo presunto. Ciò si verifica, ad esempio, nei casi in cui i canoni dichiarati siano almeno pari a quelli di mercato, determinabili ai sensi dell’art. 9 del TUIR”. È stato altresì ricordato che tali oggettive situazioni possono essere fatte valere “anche da società o enti non immobiliari, in relazione a determinati immobili dai medesimi posseduti”.
È stato fatto poi riferimento alla precisazione, contenuta nella circolare n. 25/E/2007, secondo la quale “per la determinazione del valore di mercato dei canoni di locazione si potrà fare riferimento ai valori (espressi in euro per mq al mese) riportati nella banca dati delle quotazioni immobiliari dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare”.
È stato, infine, ricordato che l’istante ha prodotto e allegato la tabella delle quotazioni immobiliari dell’Osservatorio del mercato immobiliare relativa al secondo semestre dell’anno 2017, “da cui emerge la congruità dei canoni di locazione che la stessa intende applicare”.
È stato, di conseguenza, fornito parere positivo per il periodo d’imposta 2019 alla disapplicazione della disciplina in esame, a condizione che “le quotazioni OMI relative agli anni 2018 e 2019 (ancora non pubblicate) non si discostino da quelle riportate nella … istanza”.